Chiuso a casa con un forte raffreddore che ieri mi ha reso addirittura mezzo afono, ne ho approfittato per rileggermi un libricino in francese che ripercorre molto brevemente la genesi e la storia del balletto Giselle, su musiche di Adolphe Adam, e della sua prima grande interprete Carlotta Grisi.
Piccola parentesi per chi non conoscesse la trama, riporto quella scritta e abbastanza esauriente di wikipedia:
In un villaggio nella Renania del Medioevo durante la vendemmia, appare una giovane contadina, Giselle, che vive in una vicina casetta con sua madre Berthe. Ella adora ballare e darebbe la vita per questa sua passione. Entra in scena un giovane vestito da popolano, Loys, che abita nei pressi ma che in realtà è il principe di Slesia, Albrecht. Giselle, che ignora le sue nobili origini, in un primo momento titubante, accetta poi la corte del giovane, di cui si innamora. Giselle e Albrecht danzano gioiosamente nonostante i continui richiami della madre di lei, che la ammonisce per le sue precarie condizioni di salute e perché lei è ossessionata dalla leggenda delle Willi e diffida istintivamente di Loys temendo di vedere un giorno la figlia trasformata in una Willi. I giovani innamorati affidano il destino del loro amore allo sfogliare di una margherita che si rivela un presagio negativo. Wilfred, amico del principe, tenta invano di dissuaderlo dal continuare questa storia con la giovane contadina. Entra in scena Hilarion il guardiacaccia, geloso di Giselle, che nota furtivamente il mantello del giovane sconosciuto e la sua spada con uno stemma. In lontananza, il suono di un corno annuncia una battuta di caccia. Arriva la corte, impegnata nella battuta, che entra nel villaggio per trovare ristoro. Tra i vari componenti di questa, c'è anche la promessa sposa di Albrecht, la principessa Bathilde con suo padre il Duca di Curlandia. Giselle offre loro del vino e Bathilde, impressionata dal candore, dalla innocenza e dalla dolcezza della giovane contadina, le fa dono del suo medaglione. Hilarion si aggira intanto furtivamente osservando Loys inquieto e preoccupato. Questo conferma i suoi sospetti. Il rivale in amore, accecato dalla gelosia, smaschera allora il principe davanti a tutti, mostrando la spada con lo stemma. Giselle, perdutamente innamorata, prende nella disperazione la spada di Albrecht per uccidersi, ma poi impazzisce e muore per il dolore in conseguenza del suo debole cuore tra gli sguardi inorriditi dei presenti e lo strazio della madre. Il secondo atto si svolge in una radura illuminata dalla luna nei pressi della tomba di Giselle. Hilarion è sconvolto dal rimorso per la morte di Giselle e si reca presso la sua tomba, nelle vicinanze vi sono i suoi amici che cercano di distorglierlo e portarlo via. Ad un tratto sentono intorno a loro una presenza irreale e, spaventati, fuggono. Entrano in scena Myrtha, l'implacabile regina delle Villi e le sue discepole. Giselle è convocata dalla sua tomba e accolta da Myrtha e dalle creature soprannaturali, danzando con esse. Hilarion è intanto inseguito dalle Villi che lo costringono a danzare fino alla morte. Albrecht arriva disperato alla ricerca della tomba di Giselle, lei appare davanti a lui e gli ricorda il funesto presagio della margherita, il fiore cui avevano affidato il destino del loro amore. Egli implora il suo perdono. Myrtha raduna allora a sé tutte le sue discepole costringendo Albrecht a danzare. L'intento è quello di punire il giovane per il suo tradimento d'amore e farlo morire per sfinimento. Giselle supplica Myrtha di risparmiarlo, ma la regina delle Villi rifiuta e allora lei lo protegge sorreggendolo e danzando con lui per tutta la notte. Alle prime luci dell'alba le Villi sono costrette a svanire, Albrecht è salvo grazie all'amore di Giselle che non appartenendo più alle Villi, torna per il riposo eterno nella sua tomba, dove ai piedi di essa rimane il giovane principe solo e affranto dal dolore.
Nella foto che apre il post ci sono i glutei marmorei di Bolle, nella versione di Giselle di Mats Ek (versione che fece impazzire un paio d'anni fa gli Italiani, che curiosi come scimmie si appostarono per vedere le balle di Bolle, poi non chiediamoci perché votano ancora mister B. alle elezioni), in cui Giselle non muore ma impazzisce e viene rinchiusa in manicomio. Albrecht in preda al dolore e al senso di colpa si spoglia dei suoi abiti, implorando perdono. Perdono che otterrà da Hilarion che, prima tenta di colpirlo, poi, lo copre con una coperta vinto dalla pietas. Sotto il video delle balle di Bolle, lo trovate a partire dal minuto 03:46 fino al minuto 05:18 (e so già che i miei lettori più smaliziati l'avranno visto già ai suoi tempi e saranno forse rimasti un po' delusi dalla dotazione):
Dopo queste lunghe parentesi, mi viene spontaneo pensare il fatto che Giselle è un balletto che o si ama o si odia. C'è stato un periodo in cui preferivo la versione di Mats Ek, più plausibile per un cinico com'ero all'epoca, rispetto alla versione classica di Jean Coralli e Jules Perrot. Oggi, credo invece di apprezzare di più la versione classica, soprattutto con la splendida coppia Carla Fracci - Erik Bruhn (converrete con me che lui era un gran gnocco oltre ad essere un danseur noble superbo),per chi non lo sapesse quest'ultimo è stato per lunghissimo tempo (dal 1961 fino alla sua morte nel 1986) il compagno di Nureyev (quest'ultimo non proprio fedelissimo li mortacci tua, con tutto rispetto eh!) e come il tartaro volante, l'elegante danese Bruhn è morto per le complicanze dell'aids anche se ufficialmente la famiglia disse che era morto per cancro ai polmoni.
Qui sotto, vi posto l'intero balletto con l'American Ballet Theatre (1969), guardatelo è linfa per l'anima. Fracci e Bruhn sono superbi, soprattutto lei nella scena della pazzia è da brividi:
C'è stato un periodo in cui ho odiato il carattere di Giselle, probabilmente perché in un certo qual senso mi assomigliava troppo: ingenua, innamorata, pura, incosciente, un po' con i paraocchi; tant'è che c'è stato un periodo in cui speravo che qualche coreografo le desse la possibilità di mandare al diavolo Albrecht e di farlo perire nel peggiore dei modi. Invece, oggi, non posso fare a meno di pensare a quanto sia stata coraggiosa e folle nel credere fino all'ultimo, anche dopo la morte, nell'amore che sgorgava dal suo cuore e nella bontà dei suoi sentimenti. Un amore talmente grande che disobbedisce a Myrtha, l'implacabile Regina delle Villi, pur di salvare il traditore Albrecht. Ho sempre avuto a cuore la sorte del povero Hilarion: non mi è mai andato giù che lui morisse e Giselle non lo salvasse. Ho storto il naso quando nel libretto si parla di lui come di un uomo turpe, malvagio, cattivo fino al midollo, maledetto e disgraziato... eppure, se così fosse, pur causando involontariamente la morte della protagonista, perché andrebbe nella foresta a piangere sulla sua tomba, pentito per quel gesto che, nella sua mente un po' malata, avrebbe dovuto portare lei a lasciare il bugiardo e ad accettare la sua corte. Hilarion, come la si giri, giri, risulta per forza di cose come il malvagio della storia. Eppure lui voleva solo essere amato! Invece, non ho mai amato un granché quel gran bastardo traditore e bugiardo di Albrecht, nel libretto addirittura viene osannato a tal punto che se lo avessi di fronte lo prenderei a calci nel sedere perché chi è nobile d'animo non inganna così le persone. In fondo, lui è "il vincente" perché sì, perde la sua amata Giselle, ma si presuppone che la sua vita trascorrerà come niente fosse nel lusso, con un matrimonio di convenienza con Bathilde e perché no con altre scappatelle e altre contadinelle da circuire. Albrecht è la classica persona che lancia il sasso e nasconde la mano, poi aspetta che gli altri risolvano per lui, altrimenti perché si finge ciò che non è, spingendosi oltre? Quante volte avrei voluto che Giselle salvasse Hilarion e lasciasse morire Albrecht? Tante. Son sempre rimasto affascinato da Myrtha e la sua crudele algidità e insensibilità, chissà chi gli ha spezzato il cuore e perché per ridurla in quel modo? Un altra cosa che non mi è andata giù nel libretto è proprio la parte in cui si spiega che le villi sono solo fanciulle, amanti del ballo, tradite dai promessi sposi e morte di dolore. Nel libretto si afferma un qualcosa, certo magari frutto della società dell'epoca, per cui gli uomini non possono provare un tale dolore. Ecco, io rivendico l'aggiunta di figure maschili che incarnino questo ruolo nelle leggende perché anche noi maschietti soffriamo per amore e non sempre siamo i bastardi della situazione.
Ps: per chi volesse documentarsi ulteriormente su Balletto.net c'è molto materiale di qualità in merito.
In questi ultimi giorni ha sollevato un vespaio di polemiche la saggia decisione delle maestre di un asilo nido romano che, dopo aver consultato una psicologa, hanno deciso di "abolire" la festa del papà per "sostituirla" con la festa della famiglia, per venire incontro ad un bambino figlio di una coppia lesbica. Ho apprezzato molto quest'apertura mentale delle maestre perché in questo modo si viene incontro ai mutamenti della società, seminando semi di tolleranza e di educazione alla diversità.
Alle elementari c'era una mia compagna di classe, Francesca, che odiava questa festa e diventava nervosa e astiosa ogni 19 marzo perché era orfana di padre. Le suore (negli ultimi due anni la maestra) ci facevano fare dei lavoretti per questa ricorrenza, siccome lei era l'unica senza il papà, il suo lavoretto veniva rigirato al nonno e lei ci soffriva tantissimo, si nascondeva dietro i suoi occhialoni grandi e spessi e metteva su il broncio. I lavoretti e l'immancabile poesia erano piccole torture, se ci fosse stato un maggior giudizio, si poteva evitare di farla sentire così diversa.
Ricordo che alle scuole medie, tre miei compagni di classe erano figli di genitori separati, oggi probabilmente nessuno ci farebbe caso ma allora (e non è che sia passato chissà quanto tempo) venivano visti e trattati come dei paria, erano quasi marcati a fuoco e con loro si utilizzava sempre con quel tono di voce pietoso-scandalizzato che intrinsecamente sottintendeva un poverini, sono proprio sfortunati! Provengono da brutte famiglie. Stronzate colossali! Semplicemente non si amavano più e, come è giusto che sia, si erano separati. Niente di losco o di torbido che giustificasse quell'orrido tono di voce. Anche per loro il 19 marzo era una sofferenza, anche se un po' meno pesante perché alle medie grazie al cielo ci risparmiano dal creare lavoretti per la festa del papà e le poesie da imparare a memoria di nascosto per poi recitarla puntualmente il giorno della festa.
Ecco, secondo me, la scuola italiana ha bisogno di maestre di questo tipo, aperte e pronte a mettersi in discussione e capaci di insegnare dei valori ai bambini, continuando il lavoro di educazione che già si svolge all'interno della famiglia (o che comunque si dovrebbe svolgere).
Per chi non l'avesse letto, consiglio la lettura di quest'articolo di Repubblica (clicca qui) di Michela Marzano.
Tralasciando il lato commerciale della festa e il fatto che non bisognerebbe ricordarsi dei propri cari solo in quella festa ad hoc, oggi, riflettevo sul fatto che anche questa festa del papà è una ricorrenza che non festeggerò mai. Tralasciando il fatto che in Italia non esiste una legislazione ad hoc che tuteli le famiglie arcobaleno, così come non c'è la possibilità di adottare sia per i single che per le coppie formate da persone dello stesso sesso, anche se mi piacerebbe tanto avere un figlio ed essere padre non lo sarò mai e mi fa male. Mi fa male perché sprecherò il tanto amore che ho da dare, mi fa male perché è un altro sogno che scoppia come una bolla di sapone, mi fa male perché non avrò mai una mia famiglia.
Me ne farò una ragione, così come me la sto facendo per il fatto che rimarrò probabilmente solo. Anzi, guardando l'altra faccia della medaglia, visto la mia situazione grigia e che nel mio immediato futuro si oscilla da un grigio chiaro ad un nero pece, forse è un bene perché non di solo amore si vive. Tolto tanto Amore, cosa potrei offrire ad un figlio adesso?Niente! Sono solo un cazzo di disoccupato senza arte e né parte, con nemmeno tutte le rotelle al posto giusto (No, perché se c'è qualcuno che ritiene normale il sottoscritto che si considera un principe uscito dalle fiabe alla ricerca del suo vissero felici e contenti...). E fa male, oltre ad essere umiliante: sono un completo disastro.
Su facebook, oggi, una persona stupenda mi ha fatto, a sua insaputa, un bel regalo: mi ha fatto gli auguri per la festa del papà e mi ha inserito nella sua famiglia ideale. È un'inezia però mi ha fatto sentire meglio. Grazie di cuore!
E allora anche se questa giornata volge al termine, mi unisco al coro sincero degli Auguri a tutti i papà che lo sono già, a quelli che lo saranno, a quelli come me che non lo saranno mai, per scelta o come nel mio caso per imposizione esterna, a quelli che sono con noi tutti i giorni e a quelli che non ci sono più ma che vivono per sempre nei nostri cuori.
Giorni NO capitano a tutti, chi più, chi meno, ecco non riesco a capacitarmi del fatto che ultimamente a me capitino più spesso degli altri. Che nervi! Come se al peggio non ci fosse mai fine, ho un caos nella testa pazzesco e un umore che più tetro non si può. Non è che pretendo chissà che cosa, ma giusto un inizio da cui incominciare a fare ordine, a districare i pensieri, a redistribuire le priorità, un punto da cui ripartire e progettare. Niente! Mi sento solamente un apatico incapace fallito e perditempo. Non ci spero più che qualcosa cambi, può solo andare peggio e, visto i presupposti, non tarderà ad essere così. Dovrei anche finire di studiare per quel corso del kaiser, ma non ne ho voglia: tanto a che serve? O mi impegno o non mi impegno, non sarà di certo questo pezzo di carta straccia a fare la differenza, tanto ho già la pergamena di laurea da usare come sostituto della carta igienica, per cui... È tutto uno schifo a cominciare da me. A che pro, lagnarsene qui? Boh!Se state ancora leggendo 'sto schifo, sappiate che è tempo perso e nessuno ve lo rimborserà. Tanto potrebbe essere uno dei miei ultimi sfoghi, visto che sembra che il mio pc faccia i capricci e potrebbe tirare le cuoia presto (disintegrarsi e/o esplodermi in faccia visto che ne perdo i pezzi materiali...), per cui potrei sparire dall'oggi al domani. Sempre fortunello io, no? Va be', cose che capitano, anche se quasi quasi sarebbe figo se potessi disintegrarmi, magari starei meglio di come sto adesso. Se non si fosse capito oggi mi sto abbondantemente sulle palle da solo e non mi sopporto. Oggi, mi odio abbondantemente, l'ho già detto? Mi prenderei a schiaffi se non mi facessi abbastanza schifo come 'sto post.
Ooh! Get me away from here I'm dying
Play me a song to set me free
Nobody writes them like they used to
So it may as well be me
Here on my own now after hours
Here on my own now on a bus
Think of it this way
You could either be successful or be us
With our winning smiles, and us
With our catchy tunes and words
Now we're photogenic
You know, we don't stand a chance
Oh, I'll settle down with some old story
About a boy who's just like me
Thought there was love in everything and everyone
You're so naive!
They always reach a sorry ending
They always get it in the end
Still it was worth it as
I turned the pages solemnly, and then
With a winning smile, the poor boy
With naivety succeeds
At the final moment, I cried
I always cry at endings
I always cry at endings
Oh, that wasn't what I meant to say at all
From where I'm sitting, rain
Falling against the lonely tenement
Has set my mind to wander
Into the windows of my lovers
They never know unless I write
This is no declaration
I just thought I'd let you know goodbye
Said the hero in the story
"It is mightier than swords
I could kill you sure
But I could only make you cry with these words"
Cry with these words, cry with these words, cry with these words
Oh get me away, I'm dying
Get me away, I'm dying
Get me away, I'm dying
Get me away, I'm dying
Oh I'm dying
Oh I'm dying
Oh I'm dying
Belle and Sebastian (Get Me Away From Here, I'm Dying - Album: If You're Feeling Sinister - Anno: 1996)
Mi piacerebbe che ritornasse di nuovo il sole sul mio viso, con la stessa facilità con cui si beve un bicchier d'acqua e invece niente. È come se fossi sotto una specie di campana di vetro, da dove riesco a vedere il mondo esterno, ma il mondo esterno non vede me. Cerco di mantenermi il più integro possibile eppure mi sorprendo sempre più spesso a mentire e a recitare. Non mi piace mentire, non mi piace recitare, eppure so farli molto bene. Non vorrei nascondermi dietro una o più bugie, ma al momento non ci riesco: mi sembra il modo più semplice per proteggermi. Proteggermi da cosa? Da tutto, non mi sento pronto ad affrontare tutto. Sono ancora troppe le cose che mi fanno ancora troppo male. Mi ripeto come un mantra che il tempo aggiusterà tutto, ma so già che non è vero, che è solo una bugia collettiva che ci si ripete per sopravvivere. Non sono proprio sicuro di riuscire ancora a sopportare l'ipocrisia e la meschinità di un bel po' di persone che mi circondano. Non mi va di stare lì a pensare, ripensare, rimuginare ogni mio comportamento, ogni parola che dico o che scrivo. Vorrei essere libero. Vorrei essere di nuovo coraggioso, sicuro, determinato, senza paura, con le idee chiare, ancora in grado di sognare... Non ci riesco. Ci provo a sbrogliare questa matassa ingarbugliata, ma senza alcun risultato significativo. Mi sento bloccato. Mi sento perso, come se niente potesse tornare come prima, ovviamente mi riferisco solo alle cose belle, perché son conscio che anche prima c'erano parecchie cose che non andavano, però avevo tutto sotto controllo, o quanto meno l'illusione che fosse così. Mi sento costantemente sotto esame, ma il peggio è che mi sento impreparato. Ho di nuovo paura. Ho paura di vivere, ma paradossalmente non di morire. Mi sento un completo disastro e probabilmente, anzi, certamente lo sono. Ci son giorni che li passerei interamente seduto con la testa tra le gambe, sperando che passino in fretta. Tentare non mi basta più, vorrei anche dei risultati concreti, vorrei riuscire in qualcosa. Vorrei smettere di sentirmi inutile, sbagliato e fuori posto. Vorrei anche smettere di scrivere post del genere, scriverne altri più spensierati, più leggeri, meno cupi, più divertenti, ma niente! Al momento, non c'è proprio nulla per cui valga la pena ridere.
Com'è difficile sopravvivere, Vivere è difficilissimo, Essere Felici è utopia.
I want to run
I want to hide
I want to tear down the walls
That hold me inside
I want to reach out
And touch the flame
Where the streets have no name
I want to feel sunlight on my face
I see the dust cloud disappear
Without a trace
I want to take shelter from the poison rain
Where the streets have no name
Where the streets have no name
Where the streets have no name
We're still building
Then burning down love
Burning down love
And when I go there
I go there with you
It's all I can do
The city's aflood
And our love turns to rust
We're beaten and blown by the wind
Trampled in dust
I'll show you a place
High on a desert plain
Where the streets have no name
Where the streets have no name
Where the streets have no name
We're still building
Then burning down love
Burning down love
And when I go there
I go there with you
It's all I can do
Our love turns to rust
We're beaten and blown by the wind
Blown by the wind
Oh, and I see love
See our love turn to rust
We're beaten and blown by the wind
Blown by the wind
Oh, when I go there
I go there with you
It's all I can do
Térez Montcalm (Where the Streets Have No Name - Album: Connection - Anno: 2009), cover omonima degli U2 del 1987.
È un periodo strano. La primavera è alle porte. Ogni giorno ci accoglie con i primi timidi fiori che sbocciano e che tentano di mettere in un angolo questo lungo inverno. Se solo fosse così facile far cessare l'inverno che mi porto dentro... Ci provo a tenere duro, a non arrendermi, a non mollare, ma c'è quell'odiosa vocina interna che continua a ripetermi che tanto non cambierà mai niente e che sì, insomma chi me lo fa fare a sbattermi così, senza nessun risultato tangibile. Mi ritrovo sempre più spesso a fare a pugni con me stesso, ad odiarmi cordialmente e ad amarmi scortesemente. Mi ritrovo senza accorgermi le braccia piene di lividi, più mi sforzo di ricordare come me li sia procurato e più non riesco a cavare un ragno dal buco. Che sia diventato così di pasta frolla a mia insaputa? È probabile, ormai non mi stupisco più di niente. Non fanno neanche tanto male e poi sono abituato a peggio: che volete che siano dei lividi a confronto che le ferite dell'Anima? Mi indispone più il lato antiestetico, ma tanto con qualche accorgimento qua e là, non se ne accorge nessuno e poi ci sono fortunatamente ancora le maniche lunghe a coprire tutto. A dirla tutta, non mi preoccupa neanche l'inestetismo passeggero, tanto ormai non credo ci sia qualcuno per cui mi possa e mi voglia spogliare, quanto la possibilità che qualcuno possa chiedermene conto e volere delle spiegazioni che non so dare, o peggio ancora che qualcuno si arrampichi in discorsi che non stanno né in cielo e né in terra (no, non mi ha picchiato nessuno, né c'è qualcuno che mi ha maltrattato e poi a volermi male basto da solo, infatti sono un campione pluridecorato perché ho una propensione innata nel farlo, per non dire un talento, 'mo mi sa che lo metto come punta di forza sul curriculum).
Oggi, quando il sole faceva capolino e lasciava il posto ai primi raggi del buio, mi sono ritrovato a camminare lungo il fiume, in un parco che mi piaceva tanto. La desolazione era tale che, se non fosse stato per quelle potature selvagge, avrebbe dato l'impressione di uno di quei posti spettrali in cui da un momento all'altro sarebbero potute comparire le Villi. Mi son sempre chiesto quali figure mitologiche maschili potrebbero essere assimilate a loro. Non mi meraviglierei se in una mia vita passata fossi stato una di loro, cretina come quella pazza (d'amore) di Giselle.
Dicevo, camminavo per ingannare l'attesa, per il piacere perverso del vento gelido che mi trafigge il viso, le mani e il corpo. Camminavo cercando di mettere ordine nei miei pensieri, un ordine che ahimè non è mai esistito. Camminavo per il gusto di farlo, perché ogni passo era un calpestare la terra, era un calpestare un dispiacere, scacciar via per un attimo qualcosa che mi fa star male. Stupido, banale, ma in un certo qual modo taumaturgico per un po'. Purtroppo non si può camminare per sempre senza sosta: tutto torna come prima alle prese con lividi e fiori, con quelle domande senza risposta e quelle verità scottanti che cerco di affogare imperturbabilmente dentro me.