domenica 8 gennaio 2012

Il ladro di felicità - Il post-it giallo

Per un istante, il guazzabuglio di suoni e rumori assordanti fu squarciato dal silenzio. Il silenzio di qualcosa che si rompe. Era per caso un'altra tazzina del servizio buono di sua madre, quello del corredo che sopravvisse ad un roccambolesco viaggio di ritorno dall'America? No, ma era qualcosa di altrettanto fragile e delicato. Era forse un cuore? Era forse un equilibrio? Chi può dirlo? Non c'erano cocci ad evidenziare il misfatto. Non c'erano cocci da raccogliere. Uno squarcio di silenzio e poi il freddo. Quel freddo che ti entra dentro fino alle ossa e ti fa battere i denti. Sto per morire? Si chiese per un attimo, ma una smorfia sul viso passava già oltre questo pensiero. Non era la morte a spaventarlo. Rilesse lentamente il post-it giallo come per masticare meglio ogni singola parola, per gustarne il sapore e riuscire a digerirle meglio.
In quest'inizio di nuovo anno però non può mancare un post solo per te... Per te che hai pazienza e dopo un litigio mi guardi di nuovo col sorriso, a te che di notte mi abbracci e mi tiri calci :-) a te che canti a squarciagola in macchina e ascolti anche me senza tapparti le orecchie, a te che mi hai presentato persone importanti e non ti vergogni di noi, a te che sei bello e lo penso ogni volta che ti guardo, a te che hai pazienza di insegnarmi dove sbaglio e mi aiuti a crescere.... A te che hai deciso di condividere la tua vita con me ed è il regalo più bello che potessi farmi...
♥ You
Sapeva che quel cuore non era per lui. Quel messaggio non era destinato a lui. In quel momento era l'usurpatore, il ladro di felicità. Avrebbe voluto che quel post-it giallo fosse indirizzato a lui, ma non era così. Forse se si sarebbe sforzato avrebbe potuto fingere che fosse per lui, che fosse del suo Amore. Sì, ma quale Amore? Non sapeva dove fosse, con chi fosse, se lo pensasse... Si sentì soffocare. Quel silenzio calato, imposto da un altro gli pesava. Era un macigno che volente o nolente aveva accettato. Fece un respiro profondo e rilesse il post-it per l'ennesima volta. Perché non è per me? Come un lampo che rischiara la notte, quella domanda uscì dalla mente: da pensiero prese voce e divenne reale. Si risvegliò dal torpore, rischiava di morire assiderato. Chiuse la finestra, lì da cui era entrato il post-it nel suo "eremo isolato". C'era qualcosa di familiare nella scrittura, in quel cuore, in quel You. Ma certo! Riconobbe la scrittura. Un fremito lungo la schiena gli diede la certezza. Era lui! Era di Massimo. Quello che gli aveva fatto rimettere in discussione tutto sé stesso, quello che gli chiese il permesso di baciarlo e poi non lo fece, quello che gli aveva spezzato il cuore e lui l'aveva lasciato fare.
Ormai non l'amava più. Aveva impiegato quattro lunghissimi anni per addomesticare il suo dolore, per renderlo sopportabile e poi un giorno qualunque era guarito: aveva capito di amare più sé stesso che lui. Era andato avanti, nonostante il destino l'avesse messo a dura prova costringendolo a partecipare come osservatore alla costruzione di un amore che non era il suo. Lo scoprì per caso, quando un giorno di due anni fa, se lo vide sulle scale mentre scendeva mano nella mano col ragazzo del terzo piano. Il dottorino dell'appartamento accanto al suo, con la finestra della cucina che affacciava come la sua sul cortile interno del condominio. Quello che aveva ereditato l'appartamento dalla non troppo compianta signora Maria. Chissà se ora si rivoltava nella tomba sapendo che il suo adorato nipotino era un frocio come lui e viveva nel riprovevole peccato del sesso sfrenato nelle sue quattro adorate mura? Era la dura legge del contrappasso che punisce i rei bigotti sputa-sentenze.
Quell'incontro inaspettato fu un colpo al cuore e produsse un ciao sbiascicato. Pensò che non sarebbe sopravvissuto a tutto ciò. Invece riuscì a sopravvivere a quell'incontro, alle scene di sesso selvaggio sul tavolo della cucina e un anno fa all'inizio della loro convivenza. Era una sorta di piccola tortura: la loro felicità era quella felicità a cui lui tendeva ma che inspiegabilmente gli veniva negata. Poi aveva conosciuto l'Amore e quella piccola tortura della felicità di Massimo non era più una tortura, ma un modello di felicità a cui tendere o più semplicemente qualcosa che poteva farlo al massimo sorridere bonariamente o lasciarlo completamente indifferente.
Ora quel post-it portato beffardamente dal vento, l'aveva turbato nel profondo, aveva aperto uno squarcio. Era il segno che aspettava ardentemente, ma era arrivato troppo tardi e non veniva dal suo Amore. Era il segno sbagliato che pesava di più perché lui era circondato dal silenzio del coprifuoco che cala sulle relazioni sbilenche come la sua. Per un attimo cancellò dalla sua mente gli ultimi quattro anni della sua vita e provò ad immaginarla con Massimo. Immaginò la quotidianità, la convivenza, i baci, le coccole, il sesso... ma si accorse che quel post-it era il tassello avanzato. Qualcosa non quadrava nella sua immaginazione: niente combaciava. C'erano solo forzature e falsità: anche se fossero stati insieme, Massimo non gli avrebbe scritto un post-it come quello perché sarebbe roba da bimbiminKia alla tre metri sopra il cielo. Non aveva mai capito il perché di tutto quell'astio di Massimo nei confronti del romanticismo, anche se alcune forme estreme come quella dei lucchetti la trovava aberrante e svilente anche lui.
Non poteva tenerselo: era la dimostrazione fedele di una felicità non sua che per sbaglio era "scappata" dal palcoscenico principale per arrivare in platea tra le poltroncine degli spettatori. In quel caso, lui era un semplice spettatore e non uno dei protagonisti, se l'avesse conservato per sé sarebbe stato solo il ladro di felicità.
Prese le chiavi, il coraggio, il suo lettore mp3 e il post-it. Suonò il campanello, ma non rispose nessuno. Scostò  lo zerbino e infilò il post-it sotto la porta. Scese le scale e infilò l'uscio. Infilò le cuffiette del suo lettore mp3 nelle orecchie, per scacciare quel silenzio assordante che immobilizzava i suoi pensieri. Infilò le chiavi in tasca insieme al suo coraggio, o quello che ne rimaneva. Faceva freddo, ma non quanto nel suo cuore: lì l'inverno stazionava da un bel po'. Guardò il cielo, con un po' di fortuna di lì a poco avrebbe piovuto. La pioggia era l'ideale per lavare i pensieri. Fece quello che sapeva fare meglio, quello che gli riusciva bene: corse senza voltarsi indietro.

8 commenti:

  1. Quella dell'essere la spettatrice della gioia per l'amore altrui è una condizione che conosco fin troppo bene purtroppo...

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  2. Il mio è solo un racconto anche se prende ispirazione da fatti reali, inventanti e/o rielaborati lasciando un margine indefinito tra fantasia e realtà. La condizione di spettatore di felicità altrui ahimè rientra nell'ambito di vita reale, purtroppo.

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  3. Che bel racconto, mi è piaciuto molto. Hai pubblicato qualcosa?
    La frase "una felicità non sua che per sbaglio era "scappata" dal palcoscenico principale" mi ha ricordato 'A cosa servono gli amori infelici'di Severini.

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  4. No, non ho mai pubblicato niente e mi fa piacere che ti sia piaciuto. Non l'ho mai letto questo libro, anzi a dir la verità non ho letto nulla di Severini, me lo consigli?

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  5. Beh, ovviamente dipende dai gusti. Io leggo un po' di tutto.
    Di Severini ti consiglio "Ragazzo prodigio", a me è piaciuto.
    Continua a scrivere ;)

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  6. @ Chagall: io sono un onnivoro in fatto di letture e leggo di tutto, comunque me lo segno. ;)

    @ Still: grazie, potrei iniziarci a credere veramente! ;)

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  7. Oh, Kamar, mi hai messo nell'elenco dei blog a destra.
    Grazie! Ovviamente contraccambio.

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