Era da molto tempo che si sentiva divorare dal silenzio. Si sentiva come catapultato in quel quadro di Goya: Saturno che divora i suoi figli, dove lui rientrava tra i figli in procinto di essere fagocitati, mentre il silenzio indossava i panni di Saturno nell'atto di divorarlo. Tante erano le piccole cose che non andavano che sommate tutte insieme formavano un boccone troppo grande e troppo amaro per essere ingoiato giù. Fu allora che decise di "fuggire" via per tentare di spezzare quel buco nero che diventava di giorno in giorno sempre più minaccioso. Un piccolo viaggio. Non troppo breve perché non avrebbe sortito alcun effetto, né troppo lungo perché l'ansia del cosa mettere in valigia avrebbe preso il sopravvento e avrebbe smontato l'impulso, riducendolo in briciole proprio come il suo cuore che perdeva pezzi, uno dopo l'altro. Una sorta di viaggio della speranza per tentare di arginare l'emorragia.
La scelta cadde su Roma: l'ideale per vagare senza meta, lasciandosi andare solo tra la folla. Non era ancora abbastanza forte da prendere il treno: quell'incubo l'aveva ossessionato per quattro lunghissimi anni. Appena chiudeva gli occhi, la mente in una sorta di malefica vendetta ripeteva quel flashback onirico, il treno che parte senza di lui, la sua corsa disperata per fermarlo, le sue grida, il crac interno e infine si accasciava a terra disperato, andando a pezzi. Ogni volta si risvegliava agitato, esausto, come se quell'incubo gli avesse risucchiato ogni energia lasciandolo inerme, a volte in un bagno di sudore, a volte come se avesse pianto. Optò, dunque, per un pullman a lunga percorrenza.
Durante il viaggio, non poté che rimanere nauseato dal suo vicino di posto. Non riusciva a tollerare i tradimenti, soprattutto quelli fatti alla luce del sole e mostrati a tutti come un vanto. Non c'era nulla di cui vantarsi nel tenere in piedi relazioni vuote costituite solo da involucri di facciata, in quel strano senso di fedeltà legato all'amante e non alla moglie, a quei desolanti doppi sensi che sembravano catapultare il tutto in una scena di un filmaccio comico-erotico all'italiana. Nauseato da tutto ciò, una volta sceso dal pullman, si inabissò nel caos capitolino abbandonandosi ad un'orgia di autoanalisi e di pensieri, riflettendo su quanto fossero effimere le relazioni, chiedendosi cosa fosse l'amore. Naufragava nei suoi pensieri e inesorabilmente, come la goccia d'acqua scava la pietra, la sua mente batteva lì scavando nel suo cuore a pezzi. Pensava al suo Amore. Pensava a come si sentisse sbagliato. Analizzava con precisione maniacale ogni singola azione cercando di trovare una sua falla. Torturarsi psicologicamente era ormai diventato il suo sport preferito. Lo sguardo perso nel vuoto, camminava meccanicamente senza riuscire a farsi coinvolgere dalla bellezza di Roma, assorto nei suoi pensieri, saliva e scendeva dalla metro, zigzagando senza meta.
Peregrinando, arrivò in piazza San Pietro, dove una comitiva di scolari francesi lo distolse per un attimo dai suoi affanni. Con una smorfia agrodolce, pensò che sarebbe stato proprio bello baciare il suo Amore proprio lì, in piazza, magari in un flash mob circondato da altre coppie gay che si baciano, a rischio di essere arrestati dalle guardie svizzere per atti osceni, sodomia o chissà per quale altra stronzata partorita dalle alte gerarchie vaticane, solo per il gusto di far diventare verdi d'invidia quel branco di bigotti. Pensando ciò, si diresse verso Castel Sant'Angelo cercando di districare l'ultima domanda che lo tormentava: che cos'è l'Amore?
Qualsiasi risposta che si dava era sempre incompleta o banale o entrambe le cose. Poi ad un tratto, lungo il ponte circondato dalle statue, l'illuminazione: un'anziana coppia era la risposta a questa domanda! Ecco, ora se gli avessero chiesto di spiegare cosa fosse l'Amore, avrebbe risposto senza ombra di dubbio indicando loro. Un signore e una signora anziani che presi singolarmente erano uguali a tanti altri uomini e donne, ma insieme erano avvolti da una luce accecante. Lui con passo svelto rallentava il suo camminare per uniformarsi a quello della compagna, per trasformarsi in bastone e allo stesso tempo in porto sicuro. Lei zoppicava vistosamente, ma mano nella mano con lui sembrava che danzasse e camminasse sicura come chi ha pace e non ha nulla di cui temere. Quegli sguardi ridenti che si lanciavano l'un l'altro, identici come la prima volta che si erano conosciuti, assolutamente indenni al passare degli anni. Quei sorrisi abbaglianti che sembravano un'alba serena dopo un temporale notturno: di una dolcezza e tenerezza disarmanti. Quel tenersi la mano accarezzando il dorso col pollice: erano il ritratto dell'Amore e della Felicità incarnatisi in carne e ossa.
Avrebbe voluto fermarli e chiedere loro di svelargli il loro segreto, ma avrebbe rotto quell'alchimia magica che rende tutto perfetto e poi si sarebbe sentito un ladro di felicità, di una felicità non sua a cui si specchiava e tendeva. Li seguì con lo sguardo fin quando non li perse di vista: il silenzio che lo stava divorando non faceva più così paura. Si voltò con quella fragile pace raggiunta nel cuore, guardò il cielo e sorridendo corse senza voltarsi indietro.
Leggi anche: Il ladro di felicità - Il post-it giallo
La scelta cadde su Roma: l'ideale per vagare senza meta, lasciandosi andare solo tra la folla. Non era ancora abbastanza forte da prendere il treno: quell'incubo l'aveva ossessionato per quattro lunghissimi anni. Appena chiudeva gli occhi, la mente in una sorta di malefica vendetta ripeteva quel flashback onirico, il treno che parte senza di lui, la sua corsa disperata per fermarlo, le sue grida, il crac interno e infine si accasciava a terra disperato, andando a pezzi. Ogni volta si risvegliava agitato, esausto, come se quell'incubo gli avesse risucchiato ogni energia lasciandolo inerme, a volte in un bagno di sudore, a volte come se avesse pianto. Optò, dunque, per un pullman a lunga percorrenza.
Durante il viaggio, non poté che rimanere nauseato dal suo vicino di posto. Non riusciva a tollerare i tradimenti, soprattutto quelli fatti alla luce del sole e mostrati a tutti come un vanto. Non c'era nulla di cui vantarsi nel tenere in piedi relazioni vuote costituite solo da involucri di facciata, in quel strano senso di fedeltà legato all'amante e non alla moglie, a quei desolanti doppi sensi che sembravano catapultare il tutto in una scena di un filmaccio comico-erotico all'italiana. Nauseato da tutto ciò, una volta sceso dal pullman, si inabissò nel caos capitolino abbandonandosi ad un'orgia di autoanalisi e di pensieri, riflettendo su quanto fossero effimere le relazioni, chiedendosi cosa fosse l'amore. Naufragava nei suoi pensieri e inesorabilmente, come la goccia d'acqua scava la pietra, la sua mente batteva lì scavando nel suo cuore a pezzi. Pensava al suo Amore. Pensava a come si sentisse sbagliato. Analizzava con precisione maniacale ogni singola azione cercando di trovare una sua falla. Torturarsi psicologicamente era ormai diventato il suo sport preferito. Lo sguardo perso nel vuoto, camminava meccanicamente senza riuscire a farsi coinvolgere dalla bellezza di Roma, assorto nei suoi pensieri, saliva e scendeva dalla metro, zigzagando senza meta.
Peregrinando, arrivò in piazza San Pietro, dove una comitiva di scolari francesi lo distolse per un attimo dai suoi affanni. Con una smorfia agrodolce, pensò che sarebbe stato proprio bello baciare il suo Amore proprio lì, in piazza, magari in un flash mob circondato da altre coppie gay che si baciano, a rischio di essere arrestati dalle guardie svizzere per atti osceni, sodomia o chissà per quale altra stronzata partorita dalle alte gerarchie vaticane, solo per il gusto di far diventare verdi d'invidia quel branco di bigotti. Pensando ciò, si diresse verso Castel Sant'Angelo cercando di districare l'ultima domanda che lo tormentava: che cos'è l'Amore?
Qualsiasi risposta che si dava era sempre incompleta o banale o entrambe le cose. Poi ad un tratto, lungo il ponte circondato dalle statue, l'illuminazione: un'anziana coppia era la risposta a questa domanda! Ecco, ora se gli avessero chiesto di spiegare cosa fosse l'Amore, avrebbe risposto senza ombra di dubbio indicando loro. Un signore e una signora anziani che presi singolarmente erano uguali a tanti altri uomini e donne, ma insieme erano avvolti da una luce accecante. Lui con passo svelto rallentava il suo camminare per uniformarsi a quello della compagna, per trasformarsi in bastone e allo stesso tempo in porto sicuro. Lei zoppicava vistosamente, ma mano nella mano con lui sembrava che danzasse e camminasse sicura come chi ha pace e non ha nulla di cui temere. Quegli sguardi ridenti che si lanciavano l'un l'altro, identici come la prima volta che si erano conosciuti, assolutamente indenni al passare degli anni. Quei sorrisi abbaglianti che sembravano un'alba serena dopo un temporale notturno: di una dolcezza e tenerezza disarmanti. Quel tenersi la mano accarezzando il dorso col pollice: erano il ritratto dell'Amore e della Felicità incarnatisi in carne e ossa.
Avrebbe voluto fermarli e chiedere loro di svelargli il loro segreto, ma avrebbe rotto quell'alchimia magica che rende tutto perfetto e poi si sarebbe sentito un ladro di felicità, di una felicità non sua a cui si specchiava e tendeva. Li seguì con lo sguardo fin quando non li perse di vista: il silenzio che lo stava divorando non faceva più così paura. Si voltò con quella fragile pace raggiunta nel cuore, guardò il cielo e sorridendo corse senza voltarsi indietro.
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complimenti per ciò che scrivi!
RispondiEliminaGrazie Alice, mi lusinghi. :)
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